GENOVA e la LIGURIA

 

 

- I Liguri (tra leggenda e realtà).

- La data di nascita di Genova e l’origine del suo nome.

- I Genovesi alle Crociate. 1099: Guglielmo Embriaco conquista Gerusalemme.

- I simboli della città.

- 1128: nasce la Lanterna.

- La Repubblica Marinara e le sue colonie.

- La rivalità con Pisa e Venezia. Due grandi battaglie: Meloria e Curzola.

- 1440: nasce il Banco di San Giorgio.

- 1625: i Savoia contro Genova.

- 1800: il blocco di Genova.

- 1814: il Congresso di Vienna (L’ultimo Natale della Repubblica Ligure).

- Il rostro depredato dai Savoia.

- 1849: il sacco di Genova (Lettera di Vittorio Emanuele II al Generale A. La Marmora).

"Genova oggi"

 

 

 

 

 

 

I Liguri (tra leggenda e realtà)

Un individuo tozzo e sbilenco, dalla bassa fronte protesa a grondaia sulle orbite, uscì da una grotta della Val varatela (dove oggi è Tirano, nel loanese, a tre chilometri da Borghetto Santo Spirito) poco prima che un masso precipitasse a bloccare l’ingresso dell’antro.

Il masso cadde migliaia di anni fa. Le impronte di quell’individuo, solidificate nei secoli nella "Grotta delle Streghe", testimoniano la presenza in Liguria dell’uomo primitivo che viene detto di Neanderthal.

"Fa che le tue acque dissetino i miei campi, che la grandine non uccida il mio grano, che le belve non divorino il mio gregge. Fa che la mia terra sia mia".

Così forse dissero gli uomini alla Grande Montagna. Così dicono ancora i quarantamila graffiti incisi dagli antichi Liguri sulle rocce di Monte Bego.

Quarantamila preghiere disegnate su pagine di pietra. Preghiere e ricordi. Preghiere e speranze.

La valle delle Meraviglie.

Nel corso di almeno due millenni – lungo un periodo che comprende la fine dell’età della pietra e l’inizio di quella dei metalli – i contadini liguri salirono verso la vetta delle Alpi Marittime per invocare sul loro lavoro la protezione della divinità rupestre.

Monte Bego sorge al culmine della Val Roia, presso San Dalmazzo di Tenda. Tocca i 2873 metri.

L’uomo di Monte Bego crede in qualcosa che lo trascende, ma prima ha dovuto credere nelle proprie forze, nella propria capacità individuale di reagire al male. Alle radici della sua spiritualità e del suo ottimismo ("lavoro, dunque posso sopravvivere") c’è una falda di scetticismo che lo induce ad attenersi al concreto e a contare innanzi tutto su se stesso ("devo sopravvivere per poter lavorare").

Nelle piccole planimetrie del Monte Bego possiamo cogliere il riassunto, la sintesi, il nodo di tutta la storia del popolo Ligure, che sarà una storia di lotte volte sempre a difendere e ad accrescere ciò che si possiede, non per smania di ricchezza o di potenza, ma perché l’uomo possa sentirsi più forte del suo destino.

Catone, tra l’una e l’altra delle sue orazioni contro Cartagine, scrisse un giorno dei Liguri: "Sono tanto ignoranti da non conoscere neppure le proprie origini".

La Liguria e l’Atlantide.

Forse i Liguri contemporanei di Catone (secondo secolo a.C.) erano davvero ignoranti, rispetto al loro passato. O forse, più che ignoranza , la loro era semplicemente mancanza di memoria. In ogni caso non avevano chiesto aiuto agli Dei, come i latini, per inventarsi un’illustre progenie.

Eppure c’era chi li considerava di nobile stirpe.

Il primo a nominarli è Esiodo (settimo secolo a.C.) nel frammento di un poema ignoto. Esiodo cita insieme ai Liguri, gli etiopi e gli sciti, in un verso che ci è giunto isolato e non offre, purtroppo, precise indicazioni. Probabilmente il poeta intendeva elencare i popoli più lontani dalla Grecia: etiopi a sud, sciti a nord e Liguri all’ovest.

L’ipotesi che anticamente i Liguri fossero, per i greci, gli abitanti più noti dell’ovest, è confortata da un brano dello storico Erodono (quinto secolo a.C.) che parla della loro presenza nella regione iberica.

Riepilogando, si può affermare che i Liguri occupavano anticamente un territorio di gran lunga superiore rispetto a quello in cui li vedremo confinati al momento di entrare nella storia. Come e perché quest’area di diffusione (testimoniata altresì da ritrovamenti archeologici e da varie concordanze linguistiche) si sia ridotta, non è chiaro; così come non è chiaro a quale gruppo etnico appartenessero i Liguri e quale fosse la sede originaria dalla quale mossero.

Tra gli studiosi moderni c’è chi li ritiene di ceppo indo-europeo, assegnando loro la priorità di una schiatta dalla quale si sarebbero differenziati i greci, gli italici e i celti.

E c’è viceversa, chi li considera non indo-europei, facendoli giungere dall’Africa del nord (origine libica). Secondo i sostenitori di un’altra tesi infine, i Liguri deriverebbero, come i baschi, da gruppi etnici di lontana parentela con i berberi, arrivati in Europa dalla Mesopotamia.

Difficile stabilire la provenienza dei Liguri. Non ci hanno detto nulla del loro remoto passato.

Ignoranti, o immemori?

E se immemori, perché?

Una teoria scientifica, enunciata recentemente, afferma che i popoli, come gli individui, possono soffrire choc traumatici in seguito a gravi sciagure che li abbiano colpiti.

Indubbiamente l’umanità ha subito molti di questi choc.

Ed è probabile che alcuni traumi psichici collettivi si siano risolti in un vuoto della memoria. Se non fosse così non cispiegheremmo l’istintivo trasalimento che ci coglie al pensiero di catastrofi (come il diluvio universale) delle quali non è rimasta che una sensazione interiore, priva di riferimenti concreti e precisi.

C’è stata, all’ovest dei greci, una grande catastrofe?

E’ possibile che i Liguri ne siano state le vittime?

 

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La data di nascita di Genova e l’origine del suo nome.

Le leggende attribuiscono la fondazione di Genova al mitico Giano, protettore delle navi e delle monete, che, come dio "bifronte", poteva simboleggiare i due specchi acquei ai lati del promontorio dove nacque il primo molo. Da Giano deriverebbe anche il nome della città; sempre al mare è collegata l’interpretazione medievale: Janua, cioè apertura, ingresso per le vie marittime. Sin dai primordi, infatti, il golfo naturale di Genova è stato ritenuto uno dei più validi punti di approdo nel Mediterraneo occidentale. Gli oggetti rinvenuti nello spianare il colle di Sant’Andrea attestano il grado di civiltà raggiunto da Genova nel VI e V secolo a.C.; la necropoli arcaica ha offerto tra l’altro elementi di provenienza ellenica ed etrusca.

Altro importante reperto, datato 117 a.C., fu scoperto da un contadino a Isosecco, in Val Polcevera, nel 1506; è la tavola peuntigeriana, nota come "Tavola di Polcevera", consistente in una tavola di bronza, sulla quale è riprodotta una sentenza pronunciata dai senatori romani Marco Minucio e Fabio Rufo per definire alcune vertenze circa il diritto di dominio sui rispettivi territori, fra Genuati e Viturri Langenses. Dal testo si può dedurre che Genova era all’epoca una città confederata, non totalmente sottomessa, a Roma.

I primi scritti degli storici risalgono a Stradone, il quale definì Genova "emporio dei Liguri", e più volte la ricorda Tito Livio parlando delle guerre, durate oltre cento anni, fra Liguri e Romani. Di queste guerre scrissero anche Polibio, Anneo Floro, Diodoro Siculo e Plutarco. Durante la seconda guerra punica, nell’anno 205 a.C., il generale cartaginese Magone, fratello minore di Annibale, salpò dalle Baleari con una flotta di trenta navi "rostrate", e, sbarcato a Genova, mise a ferro e fuoco la città, alleata di Roma. Due anni dopo, per opera del pretore Spurio Lucrezio, Genova venne riedificata, ma in seguito i Romani furono spesso in guerra con le tribù Liguri ribelli; le lotte proseguirono per più di cent’anni, finchè sotto Augusto, nell’anno 7 a.C., Genova cadde definitivamente sotto il potere romano.

 

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I Genovesi alle Crociate. 1099: Guglielmo Embriaco conquista Gerusalemme.

Il papa Silvestro II e poi Benedetto VIII, sempre temendo la potenza dei Saraceni, invitarono Genovesi e Pisani a intraprendere lotte contro gli infedele; era una sorta di preludio alle Crociate, e rappresentava la rinuncia ad ogni composizione pacifica con il mondo arabo che, grazie soprattutto ai rapporti commerciali, si sarebbe probabilmente potuta realizzare con vantaggi da ambo le parti. La Santa Sede concesse il dominio delle isole di Sardegna e Corsica a chi le avesse liberate dagli infedeli; dopo lunghe e aspre battaglie, attorno al 1015, la Sardegna apparteneva ai Pisani e la Corsica ai Genovesi.

Incitati da papa Vittore III, i Genovesi, pare sempre con i Pisani, sbarcarono poi in Africa, e, dopo aver occupato ampi territori, obbligarono i re di Tripoli e di Tunisi a farsi tributari della Santa Sede (1088).

Ma l’accordo militare tra Genova e Pisa, che fruttò ricchezze e ingrandimenti di dominio, non era certo dei più saldi: già nel 1070 si erano verificate le prime discordie, poiché i Pisani, avevano occupato la Corsica, come si è detto dominio di Genova.

La prima Crociata contro gli infedeli che occupavano Gerusalemme fu bandita da Urbano II; Genova era allora la "stazione marittima" di chi partiva per la Terrasanta; i crociati locali approntarono quaranta galee che partirono in soccorso dell’esercito cristiano alla presa di Antiochia. Nel ritorno in patria, passando per Mira, in Asia Minore, i Genovesi si impossessarono delle ceneri di San Giovanni Battista, che trasportarono in patria nel 1089.

Dieci anni dopo un’altra grossa armata, al comando di Guglielmo Embriaco detto Testa di maglio, fu spedita a partecipare alla conquista di Gerusalemme. Sorpreso dalla flotta nemica, l’Embriaco sbarcò a Giaffa, abbandonò le navi, spogliate di tutto, e con le truppe raggiunse l’esercito cristiano.

Dopo trentanove giorni dal loro arrivo, i Genovesi entrarono in Gerusalemme, grazie, oltre al loro valore, all’impiego di due torri d’assedio costruite dall’Embriaco stesso con parti delle navi; l’episodio è citato dal Tasso nella Gerusalemme liberata, e conferma tra l’altro l’alta stima che si aveva dei maestri d’ascia Genovesi.

 

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I simboli della città.

I Genovesi, che intesero sempre costituire una nazione a sé stante anche rispetto agli altri italiani, nel loro determinante intervento alla conquista del Santo Sepolcro (prima crociata, anno 1099) assunsero a loro insegna e ritennero la croce rossa in campo bianco senza mai più abbandonarla. Quale segno della passione di Cristo e simbolo del Cristianesimo, essa significa Vittoria e Liberazione. Jacopo da Varagine la chiama nella sua cronaca salutifero e trionfale vessillo della vera croce. Il vessillo crociato, terminante con tre code, è raffigurato sulla torre del castello di Portovenere, in un disegno a penna coevo al testo nel codice parigino del Caffaro (iniziato nell’anno 1099).

Riferisce l’Accinelli che i Genovesi non erano restii a concedere di portare le loro insegne "ai loro amici o confederati nelle marittime spedizioni". Non va dimenticato che concessero le loro insegne anche agli Inglesi e che San Giorgio dei Genovesi compare ancor oggi sulle sterline. Oliviero Cromwell ebbe a dire: "…l’Inghilterra e Genova sono due Repubbliche sorelle ambedue sotto l’egida della Croce del gran San Giorgio e perciò si debbono rendere mutuo onore e aiuto…" Sempre l’Accinelli scrive: "E mandati dalla Repubblica 500 balestrieri con la suddetta insegna in soccorso dei Milanesi nel 1247, espugnata col loro valore la città Vittoria nuovamente fabbricata da Federico II vicino a Parma, vollero i Milanesi per maggiore onore assumersi dello stendardo de’Genovesi l’insegna".

Spero che queste notizie di storia patria possano far rinascere in tutti coloro che amano Genova l’orgoglio di un grande passato e la forza per un prospero futuro.

 

Porta Soprana (1155): pilastro meridionale

In nome dell’Onnipotente Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, Amen. Sono munita di uomini, circondata da mura mirabili, col mio valore tengo lontane le ostili armi. Se porti pace ti è lecito toccare queste porte, se chiederai guerra triste e vinto ti ritirerai. A mezzogiorno e a occidente, a settentrione e a oriente è noto quanti moti di guerre ho superato, io, Genova! Consolato di: Guglielmo Porco, Oberto Cancelliere, Giovanni Maliauccello, Guglielmo Lusio; e dei Consiglieri Boiamondo di Odone, Bonvassallo De Castro, Guglielmo Stangone, Guglielmo Cigala, Nicola Roca e Oberto Recalcati

 

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1128: nasce la Lanterna.

L’erezione di una torre sul capo di Faro, viene fissata, con non troppo rigore storico, al 1128; secondo la leggenda, a lavori ultimati, il costruttore venne gettato nel vuoto dalla sua cina, perché non realizzasse altrove qualcosa di simile, o, come dicono i maligni, per evitare di corrispondergli il compenso pattuito. Sullo spazio dove sarebbe sorta venivano prima accesi falò, come accadeva peraltro in tutta la riviera, per segnalare i punti pericolosi ai naviganti.

Con l’erezione della torre i falò trovarono posto in gabbie di ferro sospese, ottenendo ovviamente una più ampia visibilità. Al funzionamento del sistema di segnalazione erano tenuti a provvedere tutti gli utenti del porto, versando tra l’altro un contributo per l’acquisto del combustibile.

La Lanterna sorse con la duplice funzione di faro e di fortificazione: sul capo del Promontorio, detto successivamente di San Benigno o di Faro, esisteva già un piccolo fortilizio romano che vigilava, oltre che sul mare, sulla vicina via Aurelia. Il fortilizio continuò a servire dopo la caduta di Roma: vi montavano la guardia, come riporta un decreto dei Consoli del 1128, gli uomini della periferia di Genova.

 

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La Repubblica Marinara e le sue colonie.

La partecipazione alla prima Crociata aveva fruttato alla città l’esenzione dalle imposte e dai dazi in tutte le terre dove erano suoi fondachi, contrade e chiese, nonché la terza parte di Giaffa, di Tiro, Cesarea e Tolemaide (S. Giovanni d’Acri). Sorsero così, e si svilupparono, le colonie genovesi in Palestina e nell’Asia Minore.

La Crociata non aveva soddisfatto solo gli ideali religiosi e le aspirazioni cavalleresche dei combattivi Genovesi, ma, spostandoli verso Oriente, li aveva resi importatori di ricchezze e di nuovi prodotti in Europa, contribuendo a originare la grande potenza e prosperità commerciale marinara di Genova, temuta rivale di Pisa e di Venezia.

I Genovesi, poste basi commerciali fino alle foci del Volga e del mare d?Azov, misero in atto una serie di meccanismi, militari e politici, per il controllo del Mediterraneo occidentale. Emula di Venezia, che nel 1203, presa Costantinopoli, aveva occupate le più fertili isole dell’arcipelago greco, Genova sarebbe accorsa poi in aiuto di Michele VIII Paleologo; e nel 1261, scacciati i Veneziani, sarebbe entrata in possesso delle colonie e dei privilegi posseduti dalla rivale, divenendo la più grande potenza marittima europea.

Attorno alla metà del XII secolo i Mori di Spagna infestavano sempre più il Mediterraneo; nel 1146 s’impadronirono delle Baleari e di Almeria, città del regno di Granata, tanto che le navi mercantili genovesi che navigavano in zona correvano costantemente il rischio di venire assalite e depredate.

Armata una flotta di 22 galee e a 4 grosse navi, Genova ne affidò il comando ai consoli Caffaro e Oberto della Torre. Messi in rotta i Saraceni, fu preso possesso dell’isola di Maiorca, e i vincitori rientrarono in patria con un ricco bottino.

L’anno seguente, come riporta il Caffaro nei suoi annali, i Genovesi in na seconda spedizione assediarono e conquistarono Almeria, facendo un gran numero di prigionieri e raccogliendo ingenti ricchezze. Con la stessa armata presero anche Tortosa: il regno Moro di Granata era distrutto (1148). La potenza coloniale Genovese in Oriente andò estendendosi con la conquista di Tolemaide (1188), mentre si ottenevano privilegi e giurisdizioni nella città di Tiro (1194), ed in altre terre di Siria già occupate dai cristiani.

Intanto i Genovesi andavano consolidando il loro dominio nell’area di Pera, vicino a Costantinopoli, in posizione splendida sotto ogni aspetto, e nella colonia di Caffa. Quest’ultima era base ideale per i commerci con l’interno della Russia e con la Circassia.

Per l’aiuto prestato ad Enrico VI, figlio del Barbarossa, nella conquista della Sicilia, ai Genovesi era stato promesso il possesso di Siracusa; la città, contravvenendo ai patti, venne invece data ai Pisani. Genova allora nel 1204 mosse vittoriosamente alla conquista di Siracusa, estendendo così i suoi domini anche in Sicilia.

Attorno alla fine del Duecento, il modo Genovese di intendere i rapporti commerciali e sociali con nuove popolazioni siera rapidamente divulgato per tutto il Mediterraneo, nel mar Nero e nell’Atlantico: i Genovesi cambiarono così l’ordine consueto dell’economia, dandole un orientamento capitalista.

 

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La rivalità con Pisa e Venezia. Due grandi battaglie: Meloria e Curzola.

Le lotte tra Genova e Pisa.

I rapporti, già tesi, fra le due Repubbliche s’inasprirono attorno al 1090, quando il papa Urbano II fece donazione dell’isola alla Chiesa Pisana, conferendo all’arcivescovo di Pisa la facoltà di consacrare i vescovi di Corsica.

Nel 1120 i Genovesi occuparono, senza preavviso, il porto di Pisa con una formidabile armata, e i Pisani dovettero accettare le condizioni che vennero loro imposte, concernenti principalmente la rinuncia alle loro pretese sulla Corsica.

Patti così ottenuti non potevano ovviamente avere lunga durata: ogni volta che navi Pisane e Genovesi s’incontravano, si scatenava inevitabilmente battaglia.

La guerra si riaccese violenta nel 1126, quando gli eserciti delle due Repubbliche rivali si scontrarono presso l’Arno. I Genovesi, vittoriosi occuparono Volterra, Livorno, Piombino e, assediata Pisa, costrinsero gli abitanti alla resa. Per intromissione di papa Innocenzo II si concluse la pace, e i sei vescovati di Corsica rimasero divisi tra i due arcivescovi di Genova e di Pisa. Ma non fu sufficiente per sedare le ostilità.

L’anno 1163 mille Pisani aggredirono a Costantinopoli, senza alcun motivo, trecento Genovesi, ne saccheggiarono i fondachi e li costrinsero a fuggire. Fu anche barbaramente ucciso un giovane figlio del nobile Ottone Ruffo. La risposta di Genova fu immediata: venne assalito il porto pisano e incendiate molte navi, e solo per intervento dell’imperatore Federico II si raggiunse una nuova tregua.

Le guerriglie tra Genova e Pisa si susseguirono quasi ininterrottamente dal 1265 al 1284, non solo per mare, ma anche in Sardegna e in Corsica.

Per tentare uno sforzo supremo contro gli avversari, i Pisani, nel 1284, crearono podestà ed ammiraglio Alberto Morosini, nipote del doge di Venezia, mettendolo a capo di un’armata di settantadue navi.

Dal canto loro, i Genovesi affidarono il comando supremo della flotta ad Oberto Doria.

Il 6 agosto 1284 le due flotte si scontrarono alla Meloria: iniziava così la più grande battaglia navale combattuta nel Medioevo. Il Doria stava al centro dell’ordinanza Genovese; al lato destro della galea era Corrado Spinola. Anche il Morosini rimase al centro della sua armata, con Andrea saracino al fianco destro e il conte Ugolino della Gherardesca al sinistro. Altre trenta navi Genovesi, al comando di Benedetto Zaccaria, erano nascoste dietro la punta di Montenero, pronte ad intervenire. I Pisani, credendosi superiori, attaccarono con grande impeto, ma sopraggiunta la flotta di Benedetto Zaccaria, le sorti della battaglia mutarono ben presto in favore dei Genovesi. A rendere completa la disfatta Pisana contribuì il conte Ugolino, che si allontanò con le proprie galee dal campo di battaglia e si rifugiò a Pisa, annunciando la grave sconfitta. L’ammiraglio Morosini cadde ferito combattendo e fu fatto prigioniero; i pochi rimasti salvi fuggirono a Pisa, inseguiti dai vincitori.

Il 9 agosto, accolto in trionfo, Oberto Doria, recava in patria 9000 prigionieri e ventinove galere nemiche; nella lotta erano caduti 5000 uomini, e sette navi Pisane erano colate a picco. Il Morosini venne liberato, per intercessione del figlio del doge di Venezia, a condizione che non tornasse mai più al servizio dei Pisani.

La pace tra le due Repubbliche fu conclusa ufficialmente il 18 aprile 1288, con la restituzione dei prigionieri, ma l’odio per i Pisani era ancora ben vivo nell’animo dei Liguri: non potendo Pisa corrispondere alcuna indennità di guerra, i Genovesi, d’accordo con Lucca, deliberarono di distruggere la città.

I Lucchesi attaccarono da terra incendiando Livorno e desolando tutta la campagna; Corrado Doria spianò la torre del porto Pisano e ruppe le catene che chiudevano l’ingresso del porto. Pezzi delle catene furono appesi alle porte di Genova, e a due di queste, porta Soprana e porta dei Vacca, rimasero appese fino all’unità d’Italia. Nel 1290 anche l’isola d’Elba e la Corsica caddero in potere dei Genovesi.

Guerre tra Genova e Venezia.

Volendo trovare una data che sancisca l’inizio delle lotte tra Genova e Venezia si può indicare il 1208, ma l’ostilità tra le due Repubbliche, al di là dei vari motivi occasionali, aveva ovviamente come denominatore, come nel caso di Pisa, la lotta per la supremazia commerciale sui mari.

Dal 1290 al 1298 il continuo succedersi di lotte per mare tra navi Genovesi e Veneziane, provocò una nuova, aspra guerra fra le due Repubbliche; Genova affidò il comando di ottanta galee al capitano Lamba Doria, Venezia nominò comandante di una flotta di novantacinque galee Andrea Dandolo.

L’8 settembre 1298 le due armate nemiche s’incontrarono a Curzola, nell’Adriatico: la vittoria arrise al Doria. I morti nel terribile scontro furono 9000 e 7500 i prigionieri, fra i quali lo stesso Dandolo, che, si dice, morì dal dolore per aver perso la supremazia dei mari, ed il celebre Marco Polo, che poi nelle carceri di Genova avrebbe dettato a Rustichello da Pisa Il Milione.

 

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1400: nasce il Banco di San Giorgio.

Il Banco nasceva all’inizio del Quattrocento come "Società delle Compere", cioè come frutto del consolidamento del debito pubblico; volendo la Repubblica restaurare l’erario pubblico, radunò tutti i creditori; ad alcuni restituì l’intera somma dovuta, col maggior numero degli altri costituì una "Casa", assegnando ai creditori tanta parte delle gabelle quante bastavano a pagare gli interessi, a formare un fondo di ammortamento e un altro fondo di riserva, denominato il "Resto", dichiarato intoccabile.

Padrino dell’istituzione fu il francese Le Meingre, che fu, come vedremo, governatore a Genova tra il 1401 e il 1409.

Nel 1508 i privilegi del Banco vennero confermati, ed esso divenne parte integrante dell’amministrazione dello Stato.

 

 

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1625: i Savoia contro Genova.

Il duca sabaudo Carlo Emanuele I era irritato per la questione del marchesato di Zuccarello, cui anche la Repubblica di Genova aspirava perché, chiudendo la vallata del Neva, dominava la strada da Garessio ad Alberga e bloccava l’espansione sabauda.

Carlo Emanuele non era riuscito a comprarlo; dopo averlo conquistato con la forza nel 1614, fu poi costretto a restituirlo nel 1617. Dopo un lungo lavorio diplomatico, nel 1622 l’imperatore Ferdinando II, risoluto a terminare la questione, vendette a Genova per 220 mila fiorini il feudo conteso.

La questione sembrerebbe così risolta, ma ciò non bastò ad impedire una guerra perché il Savoia voleva aprirsi una breccia verso il mare e i Genovesi voleva opporsi a qualunque costo.

Indignato, Carlo Emanuele volle sostenere le sue ragioni con le armi. Fu concordata tra il Duca e la Francia un’azione contro Genova; le flotte dell’Inghilterra, delle Provincie Unite e del Duca di Guisa, governatore della Provenza, avrebbero incrociato tra Alberga e Rapallo per tagliare le comunicazioni con la Spagna. All’impresa di Genova era abbinato l’acquisto della Corsica, dove Carlo Emanuele faceva svolgere un’intensa opera di propaganda anti genovese. Prevalso, dopo qualche dissidio, il proposito del Duca di puntare subito su Genova, l’invasione avvenne attraverso il Monferrato, appartenente al Duca di Mantova, neutrale; e le truppe alleate, dopo aver occupato Acqui, Capriata e Novi, guidate dallo stesso Carlo Emanuele e da suo figlio Vittorio Amedeo, avanzarono su Ovada e Tremolino. Gavi fu costretta ad arrendersi. A Rossiglione (27 marzo) e a Voltaggio (1° aprile) i difensori subirono gravi rovesci e i paesi atroci distruzioni. Salito il valico della Bocchetta, Carlo Emanuele poteva scorgere la Lanterna (risalente nella forma attuale al 1549) e il mare si stendeva innanzi ai suoi occhi. Le improvvisate misure militari erano apparse insufficienti contro una forza tanto più grande e organizzata. La sorte di Genova sembrava segnata; molti abbandonarono la città, il tesoro pubblico venne portato a Portovenere.

Improvvisa, come il disastro, la salvezza. Il mancato intervento della flotta anglo-olandese, trattenuta da Richelieu che non voleva un eccessivo ingrandimento dei suoi alleati, l’avanzata degli spagnoli dalla Lombardia e la comparsa delle loro navi nelle acque liguri, e i contrasti scoppiati tra i comandanti francesi e sabaudi, arrestarono la marcia vittoriosa; anzi il Duca trasportò il suo esercito sulla Riviera di Ponente, occupandone con facilità gran parte per assicurarsene il possesso. La pace di Monsone, conclusa nel marzo 1626 tra Francia e Spagna, senza partecipazione, anzi all’insaputa degli altri belligeranti, stabiliva tra le varie clausole la stipulazione di una tregua tra Genova e la Savoia sino alla conclusione della pace definitiva.

Nel luogo dove fu arrestata l’invasione sabauda sorse un Santuario dedicato a Nostra Signora della Vittoria.

 

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1800: Il blocco di Genova.

Nel 1800 Genova subì un rigido assedio da parte degli Austriaci e degli Inglesi che fu gestito a Genova dal generale francese Massena. All’assedio partecipò, come capitano, anche il poeta Ugo Foscolo.

 

 

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1814: il Congresso di Vienna (L’ultimo Natale della Repubblica Ligure).

Il Congresso di Vienna decreta d’imperio l’annessione della secolare Repubblica di Genova al Regno di Sardegna dei Savoia.

La fine della Repubblica di Genova avvenne in un’atmosfera surreale tra l’angoscia dei governanti, l’attonito silenzio della cittadinanza e il festoso concerto delle campane annuncianti la nascita del redentore. Erano giorni e giorni che si attendevano le decisioni del Congresso di Vienna e, da giorni e giorni, i senatori più solerti non lasciavano il Palazzo Ducale se non per presenziare ai Devoti tridui, indetti dal governo, sull’esempio di quanto avevano fatto i predecessori nei momenti più gravi della storia della Repubblica.

L’alba del 25 dicembre 1814 era sorta senza il via vai natalizio: pranzi, banchetti, riunioni, funzioni tutto sembrava far parte di un altro mondo, mentre si avvertiva l’addensarsi dell’uragano. I cittadini più consapevoli si rifugiavano nella famiglia, altri affollavano le chiese; nel grande palazzo deserto pochi uomini si aggiravano per i saloni silenziosi spiando, dalle alte finestre, l’arrivo di messaggeri nel cortile degli svizzeri.

Intanto attraverso la pianura Padana, accompagnata dalle campane di Natale, era in corso una gara tra due corrieri: uno inglese e uno genovese che, a briglie sciolte, tentavano di arrivare primi, per onore di bandiera, a portare la tanto attesa notizia che, al momento, né l’uno né l’altro sapevano se buona o cattiva. A Novi pare che arrivasse prima il genovese, ma aveva poca importanza.

Girolamo Serra, l’ultimo presidente della Repubblica Ligure e presidente del governo della nuova, effimera, Repubblica di Genova, era al suo posto. Arrivarono i corrieri: uno consgnò il suo plico al presidente; l’altro al colonnello Dalrymple, cui lord Bentick aveva affidato il comando delle truppe inglesi che presidiavano Genova. Il colonnello scrisse subito a Serra che, l’indomani mattina, si sarebbe presentato a Palazzo con un dispaccio importante e che sarebbe stata opportuna la presenza dei senatori.

Il 26 mattina, mentre dalle chiese vicine giungevano i rintocchi che chiamavano alle messe, i senatori, cupi, taciturni, già presentendo ciò che li attendeva, salirono lo scalone e si riunirono nel loggiato. Darlymple arrivò puntuale: la cronaca di quella mattina ci è stata tramandata, nelle proprie Memorie, dallo stesso Girolamo Serra e nulla, forse, più delle sue parole potrebbe restituirci il pathos di quell’ora drammatica. "Parmi ancora di vedere, all’ora assegnata – scriverà in seguito – il colonnello entrare in anticamera in grande uniforme, avvicinarsi al caminetto e, di faccia al Presidente, sedersi. Erano in giro secondo l’ordine dell’età i senatori Antonio Dagnino, Francesco Pico, Ippolito Durazzo, Giovanni Quartana, Nicolò Vernazza, Luca Solari, Agostino Pareto: i rimanenti, o non ricevuto o trascurato l’invito del loro Capo, ne lasciarono ai posteri il loro rincrescimento. In fondo all’anticamera stavano in piedi gli Agenti, gli Amanuensi, i Portieri del Senato, uomini tutti pieni di zelo e di cordoglio".

Dopo un rapido scambio di saluti l’ufficiale inglese disse di dover partecipare al senato un dispaccio ricevuto da milord Caslereagh, rappresentante britannico al Congresso di Vienna, e prese a leggerlo in lingua italiana, a bassa voce, saltando i preamboli. E giunse alla conclusione infiorettata da molti "dispiace", "futura prosperità", "condiscendenza": insomma la Liguria veniva unita al Piemonte, per rafforzare il debole anello della catena stretta attorno alla Francia.

Seguì un grave silenzio: anche il colonnello appariva stanco e pensoso; alcuni senatori gli si avvicinarono assicurandogli di essere convinti "che quanto di sinistro accadeva al Paese era tutto suo malgrado". A questo punto non restava che prendere accordi per il passaggio delle consegne tra la guarnigione inglese e quella sabauda, comandata da Ignazio Thaon di Revel. La bandiera di San Giorgio sventolava ancora sulla torre di Palazzo, ma sarebbe scesa ben presto e, questa volta, per sempre. I senatori tergiversavano a lungo nei corridoi, nei vuoti festivi del grande edificio, nei cortili freddi e deserti, prima di ritornare tra la gente che, incuriosita, a quell’ora del mattino, sostava negli atri e nel cortile.

Prima di lasciare il Palazzo, il governo uscente preparò un proclama che iniziava così: "Informati che il Congresso di Vienna ha disposto della nostra Patria riunendola agli Stati di S.M. il Re di sardegna; risoluti da una parte a non lederne i diritti imprescrittibili, dall’altra a non usar mezzi inutili e funesti, noi deponiamo un’autorità che la confidenza della Nazione, e l’acquiescenza delle principali potenze avevano comprovata".

Il cambio della guardia avvenne il 7 gennaio 1815.

Antonino RONCO

 

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Il rostro depredato dai Savoia.

Nell’anno 1597 tra Ponte Spinola e la Darsena nel porto di Genova fu pescato un rostro di bronzo di nave romana "a testa di cinghiale", ovvero del tipo più antico.

Questo rostro fu depredato dai Savoia quando il Congresso di Vienna deliberò d’imperio l’annessione della secolare e gloriosa Repubblica di Genova al Regno di Sardegna. Questo rostro è tuttora conservato all’Armeria Reale di Torino, mentre una copia è visibile al Museo Navale di Pegli.

 

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Il sacco di Genova (Lettera di Vittorio Emanuele II al Generale A. La Marmora).

Nell’aprile 1849 Genova dovette subire la durissima repressione condotta dal generale La Marmora per incarico del Re sabaudo Vittorio Emanuele II. Tale repressione, spessissimo ignorata dai libri di storia, è nota col nome di "Sacco di Genova".

 

8 aprile 1849: lettera di Vittorio Emanuele II a La Marmora:

 

Mio caro generale,

vi ho affidato l’affare di Genova perché siete un coraggioso. Non potevate fare di meglio e meritate ogni genere di complimenti.

Spero che la nostra infelice nazione aprirà finalmente gli occhi e vedrà l’abisso in cui si era gettata a testa bassa. Occorre molta fatica per trarla fuori ed è proprio suo malgrado che bisogna lavorare per il suo bene; che ella impari per una volta finalmente ad amare gli onesti che lavorano per la sua felicità e a odiare questa vile e infetta razza di canaglie di cui essa si fidava e nella quale, sacrificando ogni sentimento di fedeltà, ogni sentimento d’onore, essa poneva tutta la sua speranza. Dopo i nostri tristi avvenimenti, di cui avrete avuto dettagli in seguito a un mio ordine, non so neppure io come sia riuscito in mezzo a tante difficoltà a trovarmi al punto in cui siamo.

Ho lavorato costantemente notte e giorno, ma se ciò continua così ci lascio la pelle, che avrei voluto piuttosto lasciare in una delle ultime battaglie.

Parlerò alla deputazione con prudenza; saprà tuttavia la mia maniera di pensare.

Vedrete le condizioni; mi è stato necessario combattere con il Ministero, perché Pinelli spesso si mostra molto debole.

Penso di lasciarvi ancora qualche tempo a Genova; fate tutto quel che giudicherete opportuno per il meglio. Ricordatevi, molto rigore con i militari compromessi. Ho fatto mettere De Asarta e il Colonnello del Genio in Consiglio di guerra. Ricordatevi di far condannare tutti i delitti commessi da chiunque e soprattutto nei confronti dei nostri ufficiali; di cacciare immediatamente tutti gli stranieri e di farli accompagnare alla frontiera e di costituire immediatamente una buona polizia.

Ci sono pochi individui compresi nella nota, ma si dice che occorra clemenza.

Informateci su ciò che succederà, sullo stato della città, sul suo spirito, su coloro che hanno preso parte alla rivolta, e cercate se potete di far sì che i soldati non si lascino andare a eccessi sugli abitanti, e fate dar loro, se necessario, un’alta paga e molta disciplina soprattutto per coloro che vi inviamo; saranno seccati di non arrivare a tempo.

Conservatemi la vostra cara amicizia, e conservatevi per altri tempi che, a quanto credo, non saranno lontani, in cui avrò bisogno dei vostri talenti e del vostro coraggio.

Li 8 aprile 1849

Vostro affezionatissimo

                                               Vittorio

 

(L’originale autografo è conservato all’Archivio di Stato di Biella).

                                    

 

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- GENOVA OGGI-

 

  Genova è... l'aperitivo al Monumento, con la faccia abbronzata e l'espressione rilassata, dopo una giornata passata in spiaggia, con le infradito e i pantaloni di tela, una birra in mano con il sole che accarezza lo specchio di mare di Garibaldi davanti a noi e che poi lentamente scompare dietro i monti. Alla fine incontri sempre qualcuno che conosci, anche quando proprio non vorresti vedere nessuno. A volte è persino quasi impossibile riuscire a raggiungere il bar ed altre volte invece aspetti che si faccia sera, seduto sul muretto sempre, settimana dopo settimana, nello stesso posto.

 

  Genova è... noi abitudinari, con i nostri punti fermi, un po' chiusi, un po' introversi, un po' diffidenti... Non ci apriamo subito con chi non conosciamo, guardiamo a volte con sospetto chi arriva in mezzo a noi e non perché temiamo qualcosa  ma forse perché amiamo le nostre certezze e tutto ciò che non conosciamo, almeno un po', almeno all'inizio, ci intimidisce. E rispettiamo gli spazi degli altri, non amiamo entrare a forza...

 

  Genova è... il vittimismo, abbiamo sempre la certezza di essere in credito con la sorte, di aver subito un torto, di aver ottenuto meno di quanto pensiamo di meritare.

 

  Genova è... noi con gli scooter, sempre, con qualunque tempo... quando piove, nelle nostre cerate gialle, impavidi tra gli spruzzi sollevati dagli autobus e le luci delle macchine in coda. Ci infiliamo negli spazi, nelle piccole strettoie degli ingorghi ed arriviamo sempre là davanti, per primi al semaforo. Vento, traffico, sole o pioggia, sappiamo che in un quarto d'ora arriveremo... Non sempre rispettiamo le regole della strada, ma in fondo esiste un codice non scritto per quelli in moto, è concesso andare nelle corsie preferenziali degli autobus, superare a destra, posteggiare tra gli alberi e le macchine. E quando siamo in scooter odiamo quelli in macchina che creano solo casino...

 

  Genova è... la città che quando piove si paralizza... le macchine in seconda ed in terza fila delle mamme e dei papà davanti alle scuole, gli ingorghi del venerdì alle sei senza poi alcun reale motivo. Le strade strette e ripide in cui guidiamo con disinvoltura, ci incrociamo a pochi millimetri con altre macchine senza il timore di toccarci e spesso senza neppure rallentare, come se ormai il nostro occhio fosse il più preciso degli ingegneri. Con la patente presa qui possiamo non avere timore di guidare in nessun altro posto. Noi che quando siamo in macchina odiamo quelli in scooter che si prendono precedenze che non hanno e si infilano in spazi troppo stretti per non essere guardati con sospetto...

 

  Genova è... la focaccia calda, profumata, mangiata alle 4 del mattino dopo una notte fuori, oppure all'intervallo a scuola o sugli scogli quando la scuola decidi invece di saltarla... a casa a colazione il sabato mattina nel caffè -latte, o quella con la cipolla a pranzo, magari in spiaggia d'estate e solo i milanesi dicono sia pesante...

 

  Genova è... la passeggiata di Nervi, bella, bellissima... le sue ringhiere azzurre, le panchine e le onde sugli scogli, incontri gente che corre, famiglie con il passeggino, fidanzati mano nella mano ed anziani che leggono il giornale, senegalesi che vendono originalissime imitazioni di borse ed occhiali firmati. Puoi vedere tutta la costa ed in quegli scogli là sotto, il mare, è particolarmente blu. Un angolo di paradiso che ci rilassa, ci rasserena, magari anche un venerdì sera in cui non si è fatto niente ed in cui ci si ritrova con gli amici a parlare, su una di quelle panchine... E poi il roseto, che ci rende orgogliosi agli occhi di chi viene da fuori come se, almeno in parte, l'avessimo creato anche noi.

 

  Genova è... Piazza delle Erbe ed i Carruggi, che non sono piccoli, stretti ed umidi, ma vivi, che hanno la storia della città tra le pietre, che portano il profumo delle antiche trattorie e del pesto fresco, che ci regalano un po' di respiro nelle calde serate estive e che ci riparano dal vento in inverno. Luogo non stabilito di ritrovo di tutti.

 

  Genova è... bellissima anche d'inverno, quando le immagini in televisione mostrano la nebbia e la neve e noi ci affacciamo alla finestra e con il termometro a 8 gradi pensiamo -"Freddo stamattina!"- ed un sole soltanto un po' più pallido di quello primaverile ci fa ritrovare in spiaggia, con il maglione e la crema solare...

 

  Genova è... la Corsica vista nelle giornate più limpide...

 

  Genova è... la Lanterna, insignificante agli occhi distratti dello straniero, splendida ed imponente ai nostri, che sempre la cercano guardando il porto.

 

  Genova è... la sopraelevata, antiestetica per alcuni, scomoda e da tirare giù per altri... ma quando torniamo dopo giorni passati fuori, lei è lì ad accoglierci, come se ci stendesse il suo tappeto e ci introducesse di nuovo nella nostra vita ed è come se ci parlasse, mostrandoci i traghetti della Tirrenia, le navi della Costa, l'Expo ed il Bigo e dall'altra parte, quasi un altro angolo di mondo, i palazzi sulle alture, Principe, il Miramare, Sottoripa, via Gramsci e via Prè....

 

  Genova è... un derby perenne, nelle parole, nei bar, nei campetti e nell'orgoglio di mostrare i propri colori, le sciarpe di lana d'inverno, le magliette d'estate, gli adesivi sui caschi ed una volta i bollini sulle targhe. Il nervoso, la rabbia tra "cugini", la gioia per le loro sconfitte e poi, i migliori amici, che sono sempre di fedi opposte...

 

  Genova è... un'emozione quelle rare volte in cui cade la neve... il Monte Fasce che non sembra più nemmeno lui, le spiagge degli stabilimenti di Corso Italia imbiancate ed i bambini e forse ancor di più gli adulti che giocano come fossero in montagna...

 

  Genova è... Bogliasco, Pieve e Sori... dove si conoscono tutti e puoi ancora trovare il piccolo Alimentari ed il Droghiere...

 

  Genova è... il piacere delle trattorie, i tavoli di legno e le brocche di vino della casa, Traso e Sussisa, le trofie al pesto ed i pansoti al sugo di noce, i menù su semplici fogli di carta e la soddisfazione sul viso quando esci...

 

  Genova è... le focaccette al formaggio in passeggiata a Recco, quella focaccia che tutta l'Italia ha provato ad imitare...

 

  Genova è... i sabati pomeriggio in Via XX, i ragazzi tirati che fanno le vasche... Galleria Mazzini e via XV Aprile con i loro negozi un po' più snob e  quelli invece più a portata di tutti di Via San Luca, Piazza Soziglia e Piazza Banchi...

 

  Genova è... la Cattedrale di San Lorenzo e quella bomba caduta inesplosa nella Seconda Guerra che ancora puoi ammirare e toccare con superstizione e timore all'interno...

 

  Genova è... i sensi delle strade cambiati ogni sei mesi, le buche nell'asfalto coperte solo dopo che è caduto qualcuno, i perenni lavori e le pezze messe a coprire ancora più pericolose dei buchi.

 

  Genova è... la Madonna della Guardia, a cui tutti, almeno una volta, abbiamo giurato di andare a piedi se quella certa cosa...

 

  Genova è... il Righi di sera, dentro la macchina a cercare un po' di intimità...

 

  Genova è... troppo stretta per le nostre ambizioni, troppo antica, siamo contenti di poter andare via appena possibile ma già al di là dei Giovi ci sentiamo smarriti, come se ci avessero tolto di notte, all'improvviso, la nostra calda e sicura coperta, ci manca il mare, ci manca la sua riservatezza e non vediamo l'ora di poter tornare.

 

  Genova è... il dialetto che ormai in pochissimi parlano... ma che quasi tutti capiscono.

 

  Genova è... l'Aurelia  con il sole in faccia, i riflessi del mare, le barche a vela, gli alberi fioriti e la serenità negli occhi.

 

  Genova è... non è vero che siamo tirchi e non sopportiamo quando la gente ci identifica con questo luogo comune...a volte, siamo solo un po' più oculati nelle spese...

 

  Genova è... il Cristo degli abissi e le gite in barca, Portofino e Camogli, ancora più belle se viste dal largo.

 

  Genova è... la città di Colombo e non importa se di qui se ne è andato e molti lo considerano più spagnolo... noi abbiamo la sua casa e che non si dica che non è autentica!

 

  Genova è... la pausa pranzo fatta al mare, con il costume sotto la giacca e la cravatta.

 

  Genova è... la fiera di Sant'Agata, i banchetti di Brignole a Natale,  i fuochi di San Giovanni il 24 giugno e quelli di Recco...

 

  Genova è... i suoi fortini, le passeggiate sui monti, le sagre dell'entroterra, le fave ed il salame di Sant'Olcese.

  

 Genova è... il mare visto dalla mia finestra...

 

 

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