Articolo scritto nel numero di Luglio

2001 per il mensile di Genova Opinione

“Il dialogo”

 

Articolo apparso nel numero di

      Ottobre 2001 sul mensile di Genova

      Opinione “Il dialogo”.

 

Articolo apparso nel numero di

 GENNAIO 2002 sul mensile di Genova

Opinione “Il dialogo”.

 

Articolo apparso nel numero di

 Ottobre 2002 sul mensile di Genova

Opinione “Il dialogo”.

 

Aforismi e frasi significative.

 

Articolo apparso nel numero di

 Marzo 2003 sul mensile di Genova

Opinione “Il dialogo”.

 

Articolo apparso nel numero di

 Maggio 2003 sul mensile di Genova

Opinione “Il dialogo”.

 

Articolo apparso nel numero di

 Ottobre 2003 sul mensile di Genova

Opinione “Il dialogo”.

 

Articolo apparso nel numero di

 Ottobre 2004 sul mensile di Genova

Opinione “Il dialogo”.

 

 

 

 

 

 

 

SUDAFRICA, ISTRUZIONI PER L’USO

Se vi è capitato, o vi capiterà mai di andare a fare un viaggio in Sudafrica, tante sono le cose che avreste voluto sapere al momento di fare le valigie.

Le guide spesso non aiutano: scialano informazioni storiche artistiche e naturalistiche interessanti, certo, ma il Sudafrica è anche altro.

Arrivando a Johsburg come familiarmente viene chiamata Johannesburgh, la metropoli che domina il tavolato del Transvaal, zona ricchissima di minerali preziosi, si avverte immediatamente di trovarsi in un posto veramente particolare.

La città con i suoi grattacieli e le sue bidonville create dai regimi razzisti che si sono succeduti nella storia, rappresenta tutte le contraddizioni di questo tormentato paese.

Ma non perdiamo tempo; si procede direttamente per la vicina Pretoria, capitale governativa dello Stato e da lì in direzione nord si arriva a Ponda Maria township nera al confine con lo Zimbawe e soprattutto porta d’ingresso settentrionale del Kruger Park. Entrando nel parco occorre segnalare ai guardiaparco il percorso di massima e l’ora ed il luogo di uscita ed è immancabile la raccomandazione dei Rangers di non scendere per nessuna ragione dalla macchina per non diventare un pasto prelibato per le belve. Poi via, comincia un documentario naturalistico in diretta; in questa immensa distesa capita di incrociare animali di ogni genere in un silenzio irreale. Improvvisamente la quiete viene rotta da una leonessa che dopo un inseguimento ad un branco di zebre, riesce a sbranarne una proprio a pochi metri dalla nostra jeep. Capita anche, con un po’ di preoccupazione, di incrociare rocciosi rinoceronti e vedere sguazzare negli stagni immensi ippopotami; uno spettacolo veramente incredibile.

Ma il Sudafrica non finisce di sorprendere; uscito dalla parte meridionale del Kruger ci si inerpica su un altopiano rotto da maestosi canyons; da lassù la vista sulla savana è mozzafiato.

Il viaggio prosegue nella zona desertica e ricchissima di diamanti di Kimberly, la patria della De Beers con le sue miniere costate lacrime e sangue ad intere generazioni di “coloured”. Non bisogna assolutamente perdersi the “big hole” (la prima miniera di diamanti ormai chiusa) e il museo dei minatori.

Scendendo ancora verso sud arriviamo in fondo all’Africa dove il Capo di Buona Speranza separa tra sferzate di vento fortissimo l’Oceano Atlantico dall’Indiano.

No non siamo in California bensì a Città del Capo, una splendida città stesa ai piedi della Table Mountain. Gli abitanti del Capo possono scegliere indifferentemente se andare a fare surf o nelle gelide acque dell’Atlantico o in quelle più tiepide e tranquille dell’Indiano.

Bastano pochi chilometri verso le colline che, come per incanto, ci si ritrova in mezzo a splendide tenute vinicole tra filari ordinatissimi ad assaggiare vini superbi in attrezzatissime cantine sociali. Potremmo tranquillamente essere nel Chianti o nel

Monferrato, siamo a Stellenbosh, terra eccezionale per la vite portata e curata dai conquistatori Boeri nel 1600. C’è ancora tempo per una romantica passeggiata nella

Garden Route ovverosia la rigogliosa e fiorita costa indiana verso Durban e Port Elizabeth.

Viaggiare in un altro paese è immergersi in una cultura, una civiltà, un’umanità diversa da quella che conosciamo.

E’ un misterioso ed affascinante tuffo in un altro mondo. Occorre, però, entrare bussando alla porta, e parlare sottovoce, perché si è ospiti.

L’atteggiamento più sbagliato è quello di chi crede di potersi comportare come a casa sua (se non peggio) solo perché ha pagato. Un po’ di spirito di osservazione, capacità di adattamento ed umiltà, sono la polvere magica per vivere il viaggio come momento per arricchirsi. Spalancate le porte dei cinque sensi, ma non dimenticatevi del sesto. Per scoprire, al ritorno, che il viaggio più bello lo si è fatto all’interno di noi stessi.                     

 

 

 

 

 

IRLANDA: UN QUADRIFOGLIO VERDISSIMO

Quando si va in Irlanda dovete memorizzare molto bene queste parole:birra, paesaggi verdissimi e simpatia.

Niente a che vedere con i compassati cugini inglesi, gli “Irish” trasmettono un’allegria contagiosa tale da farli sembrare quasi “napoletani”.

Non è uno scherzo; se vi capita di passare per la via dei pub di “Baile A’tha Cliath” ovvero città del guado della siepe, nome gaelico di Dublino, vi troverete in mezzo a un esplosione di festa, canti e balli, incoraggiati dai fiumi di “Guinness”.

Si la Guinness la birra scura bevanda nazionale a cui nessun irlandese rinuncerebbe per nessuna ragione al mondo.

E’ impossibile tornare dall’Irlanda senza aver bevuto almeno una “paint” di birra.

Ma andiamo con ordine; dopo un bagno di folla in mezzo alla gente di Dublino (come direbbe Joyce) ci dirigiamo a sud verso Cork, la seconda città del Paese, sede di una prestigiosa e antichissima Università.

Da lì proseguendo per stradine di campagna con guida rigorosamente a sinistra (eredità britannica), andiamo a scoprire un miracolo della natura.

Siamo sul “ring of Kerry”; non è un miraggio, ci sono le palme come ai tropici, la vegetazione è rigogliosa e questo grazie alla corrente calda del golfo che raggiunge questa penisola.

Procediamo lungo la baia di Dingle per puntare con decisione verso nord.

 Improvvisamente le verdi colline d’Irlanda, punteggiate da una miriade di pecore e mucche al pascolo, si gettano a strapiombo sul mare per diversi chilometri. L’erosione secolare dell’oceano ha formato delle vere muraglie di roccia; sono le Cliffs of Moher uno spettacolo mozzafiato.

Andiamo avanti, ecco Burren, Galway e Donegal, siamo nell’estremo nord del Paese e ci troviamo di fronte un confine blindatissimo; stiamo per entrare dentro una sanguinosa ferita nel cuore della “civilissima” Europa, siamo nell’Ulster o Irlanda del Nord.

Scopriamo un lugubre simbolo, uno scheletro con la falce su campo nero, è lo stemma di Derry, come la chiamano i cattolici o Londonderry nome protestante.

C’è una tranquillità irreale l’odio secolare si respira nell’aria; che tristezza!!

Anche in Ulster troviamo dei prodigi della natura; sembra una gradinata di cubetti di altezza diversa che scendono verso il mare; è basalto non è uno stadio!!

Da qui si passa per Belfast città molto britannica e subito dopo si rientra nel cattolicissimo Eire.

Il tour è finito, siamo ancora abbagliati dal verde intenso di questa terra e dalla cortesia della gente.

Abbiamo viaggiato tra le bellezze naturali e le contraddizioni di un popolo fiero delle proprie origini e tradizioni.

Ci siamo immersi in una realtà difficile da scoprire ma appunto per questo ci siamo sforzati di conoscere e capire con la massima umiltà.

Torniamo a casa convinti di esserci arricchiti ancora; viaggiare resta e resterà per sempre una delle esperienze più interessanti che si possono fare.

Confrontarsi ed immergersi in realtà diverse dalle nostre non può che accrescere il nostro bagaglio culturale. 

 

Articolo apparso nel numero di Gennaio 2002 del mensile "Il Dialogo"

 

ATTRAVERSO IL NORD DELL’AMERICA DEL SUD

(Una galoppata attraverso i sentieri del narcotraffico)

Isole caraibiche, coste meravigliose, picchi andini oltre i cinquemila metri, distese

pianeggianti, cascate mozzafiato e la foresta amazzonica. Questo cocktail di prodigi

della natura è il riassunto di quanto può essere spettacolare e vario un viaggio

attraverso il Venezuela e la Colombia.

Spesso le agenzie di viaggio e i tour operator pubblicizzano mete molto turistiche

piene di complessi alberghieri ma di scarso interesse, mentre tralasciano regolarmente

paesi ricchissimi di bellezze naturali.

Per affrontare un viaggio in queste regioni occorre essere al corrente dei rischi a cui si

va incontro anche se su questo argomento le guide spesso hanno dei vuoti di

memoria.

Non voglio certo spaventare nessuno ma, basta arrivare all’aeroporto di Caracas per

capire che l’atmosfera non è certo accogliente come in qualunque paesino svizzero, ed

anzi l’aria che si respira è abbastanza pesante.

La Capitale Venezuelana si trova ai piedi della classica valle a V con le montagne

che la proteggono o più correttamente la circondano da Nord e da Sud.

Quando a Caracas scende la sera il paesaggio si fa molto caratteristico; i fianchi dei

monti si accendono con decine di migliaia di lumini….ma attenzione non è un

romantico presepe sono le baracche dei "ranchitos" ovverosia i disperati abitanti

dell’immensa bidonville che domina la città.

E sono proprio questi milioni di diseredati che fanno di Caracas una delle città più

pericolose del mondo; al punto che la sera per andare dall’albergo al ristorante, anche

se si trova a duecento metri, occorre prendere un taxi ufficiale se non si vuol rischiare

di venire accoltellati in mezzo alla strada.

Lasciata la metropoli Venezuelana ci dirigiamo verso ovest costeggiando il mar dei

Caraibi, facciamo una breve deviazione attraverso una fitta foresta pluviale per

giungere a Choroni, troviamo un cartello che ci da il benvenuto nel "regno del tambor".

Il significato di questa insegna lo scopriamo poco dopo; per tutta la notte il ritmo dei

tamburi è continuo, non accenna a scemare se non alle prime luci dell’alba.

Il viaggio procede alla volta di Maracaibo, la zona che fa del Paese uno dei più grossi

produttori al mondo di petrolio. E poi la strada comincia a salire, prima dolcemente poi

in maniera più decisa fino a quando il cicalino del mio orologio altimetro si mette a

suonare. Abbiamo raggiunto i quattromila metri di altezza e la strada sale ancora;

siamo molto stupiti perché la vegetazione è lussureggiante mentre da noi a quella

quota si scia tutto l’anno. Dalla capitale dello stato andino Merida, città universitaria a

2500 metri, prendiamo la funivia "mas larga y alta del mundo"; una vecchia teleferica di

fabbricazione francese degli anni ’60 che in quattro tappe ci porta a 4500 metri.

Dopo questo "piccolo salto" il tempo di acclimatarci e vestirci in maniera adeguata e ci

incamminiamo verso il Pico Bolivar a quasi 5000 metri senza vedere la neve!

Il saliscendi andino prosegue quindi in Colombia, scendiamo fino al livello del mare per

visitare Cartagena, un pregevole esempio di architettura coloniale spagnola.

Ma le emozioni non sono ancora finite, rientriamo in territorio Venezuelano

attraversando la sconfinata regione pianeggiante dei Llanos.

In questa zona dedicata principalmente all’allevamento esistono fazende grandi come

intere provincie.

A Ciudad Bolivar ci imbattiamo in un fiume gigantesco, è l’Orinoco che divide in due la

città. Nelle sale del caratteristico Hotel Italia assoldiamo una guida indios ed

organizziamo un tour avventuroso nella Gran Sabana. Con un precario aereo da

turismo sorvoliamo la foresta pluviale fino a Canaima, villaggio di partenza per la visita

al Salto Angel (la cascata più alta del mondo). Risaliamo il fiume Paragua a bordo di

una velocissima piroga superando impetuose rapide e zone infestate di anaconde e

pirana. Proviamo anche l’ebbrezza di accamparci in mezzo alla foresta, dormendo

sulle amache intorno ad un rassicurante falò. Il tempo per una doccia rinfrescante

sotto il Salto Angel e riprendiamo il cammino verso mete più rilassanti.

Infatti l’ultima settimana di soggiorno la trascorriamo in un villaggio gestito da italiani

nella super turistica isola di Margarita e, prima di imbarcarci sul volo per Milano,

facciamo in tempo a visitare l’arcipelago di Los Roques con i suoi meravigliosi atolli.

L’esperienza è stata decisamente intensa; in una terra dove i contrasti sociali

sono stridenti e la legge, purtroppo, è spesso quella delle bande armate spalleggiate

dai cartelli dei mercanti di droga. La popolazione delle campagne, come spesso

accade in America Latina, viene attratta dalle grandi città con l’illusione di facili

guadagni. L’agghiacciante realtà è che questi flussi di gente vanno ad ammassarsi

nelle favelas, ad ingigantire giorno per giorno l’esercito dei disperati e della

delinquenza, mentre i governi di quei paesi asserviti alle multinazionali occidentali e del

narcotraffico, sono assolutamente incapaci di risolvere i problemi basilari della

popolazione.

Viaggiare significa anche immedesimarsi con la realtà locale, osservare, rispettare e

soprattutto capire. Ma la regola principale è soprattutto quella di stare molto attenti a

non emettere facili sentenze.

Enrico VERNAZZA

 

 

GHIACCIO BOLLENTE

(cronaca di un tour in Islanda)

Un viaggio in Islanda, il sogno di un ragazzino che, diventato adulto, si avvera più intenso e vivo che mai.

Ma cosa trova di così speciale il visitatore che sbarca all’aeroporto di Keflavik?

La prima sensazione atterrando in Islanda è quella di essere giunti sulla luna.

Una striscia d’asfalto attraversa un deserto di rocce e crateri completamente disabitato che termina appena nei pressi della capitale Reykjavik.

Con efficienza sorridente e informale tipicamente islandese, la ragazza dell’agenzia di noleggio ci consegna la chiave che consentirà di aprire molte porte, di giungere in luoghi di rara bellezza.

E’ la chiave di un fuoristrada a quattro ruote motrici, che diventerà quasi la nostra casa viaggiante per vedere una nazione senza ferrovia, senza esercito e senza disoccupati.

Siamo nella terra col più alto tasso di alfabetizzazione del mondo e del più antico parlamento d’Europa, nel paese che detiene il record di avere avuto la prima donna eletta capo dello Stato, Vigdis Finnbogadottir (e per la bellezza di 16 anni).

Con una popolazione di 270.000 abitanti di cui la metà residenti nella capitale su una superficie di poco superiore a quella del Portogallo, l’Islanda conta ben quattro compagnie teatrali professioniste, un balletto nazionale, un’opera e un’orchestra sinfonica, un’industria cinematografica piuttosto attiva e un festival d’arte d’importanza internazionale. Questo insieme alla più alta densità al mondo di personal computer ed accessi Internet per abitante, la dice lunga sull’altissimo livello culturale degli islandesi.

Certo, arrivando a Reykjavik e osservando le multicolori casette di cui è composta sembra, più che una Capitale un paese costruito col Lego. Ma addentrandosi nella città si avverte immediatamente l’energia e la vitalità dei suoi abitanti.

Reykjavik è scalpitante, effervescente come un giovane vulcano e se qualcuno si mostra sorpreso di trovare tanta vitalità in un’isola persa nell’Atlantico, a pochi passi dal Circolo Polare Artico, sono gli islandesi a mostrarsi stupiti:

"Ma che isolati, siamo in mezzo al mare tra l’Europa e l’America,una posizione strategica". L’unicità della Capitale sta nella sua straordinaria vita sociale e notturna: con una popolazione che per oltre il 60% ha meno di 39 anni non potrebbe essere altrimenti. Per la gioia di chi ama tirare tardi, la notte non è mai piccola, soprattutto nei mesi in cui il sole non si decide a tramontare.

Viaggiando lungo la strada numero uno si attraversa una natura straordinaria con fenomeni naturali che vengono dal passato, modificano il presente e garantiscono il futuro.

Quando arriviamo ad Akureyri, dopo aver sostato davanti all’acqua verde smeraldo di Hraunfossar, la prima di una serie infinita di cascate, ci accorgiamo di non renderci più conto se è giorno o notte. La luce è quasi sempre uguale per tutte le 24 ore.

Raggiungiamo la zona termale del lago Myatan, luogo di villeggiatura ricco di grotte con naturali idromassaggi. Ma la sorpresa è che qui, al confine col circolo polare, troviamo tantissimi funghi porcini che da queste parti non raccolgono neppure.

Proseguiamo il viaggio tra guadi di fiumi impetuosi, scalate di vulcani inquietanti e mangiate di aringhe deliziose, merluzzi e scampi giganteschi (la pesca è la prima industria nazionale) .

Tutta l’isola è percorsa da un’energia geotermica eccezionale che, convogliata, riscalda le case e non inquina. L’aria è pura, ma anche l’acqua dei fiumi che escono dai ghiacciai lo sono.

Completando il giro della ring n. 1 incontriamo il ghiacciaio più vasto d’Europa, il Vatnajokull, un’incredibile massa di ghiaccio in movimento grosso come l’Umbria che nasconde sotto di se due potentissimi e vivacissimi vulcani che quando eruttano provocano inondazioni bibliche.

Prima di terminare questo appassionante tour facciamo a tempo ad osservare lo stupefacente Grande Geyser, la meta forse più turistica del Paese, capace sempre di emozionare i visitatori con in suoi poderosi getti d’acqua bollente.

L’Islanda, il mio sogno tramutato in realtà, non mi ha deluso, con la sua luce magica che non c’è in nessun’altra parte del mondo. Questa grande Isola fa subito capire al visitatore quali sono le regole che la abitano: il freddo, l’acqua che ribolle, la lava che scorre, il mare che si guarda da lontano e non si nuota. Ci si ricorda qui dei quattro elementi che compongono il mondo, la potenza dell’acqua, dell’aria, della terra e del fuoco. E noi che siamo lì, nell’isola abitata da magici elfi, ritroviamo la materia del nostro corpo e l’anima della nostra mente.

Enrico VERNAZZA

 

 

 

 

 

 

 

AFORISMI e FRASI SIGNIFICATIVE

 

"Di mestiere vendo levrieri ai ciechi che hanno fretta"

 M. Zucca
 

"Io sono dei giovani e dei vecchi, degli stolti e dei saggi, incurante degli altri, riguardoso di tutti".

Walt Whitman

"Se non mi trovi subito non scoraggiarti, se non mi trovi in un posto cerca in un altro, da qualche parte starò fermo ad aspettare te".

Walt Whitman

"Io Pitagora, per l’aria che respiro e per l’acqua che bevo, non sopporterò alcuna obiezione su ciò che sto per dire".

Diogene Laertio

"Ci sono persone che sanno tutto e questo è tutto quel che sanno".

F. Shiller

"Non so se andrò in paradiso o all’inferno, ma so che ci andrò da Genova.

E. Vernazza

"Raffrontarsi vuol dire capire, capire non vuol dire essere pedissequamente ossequienti".

E. Buggi

"Se tu ami veramente qualcuno lo lasci libero. Se torna è tuo per sempre. Se non torna non è mai stato tuo".

Anonimo

"Non cercare un amico perfetto. Cerca un amico".

Anonimo

"Chi abbandona i propri sogni è destinato a morire".

Paolo Mantovani

"Non è bello farsi bello con le penne del pavone".

Anonimo

"Non cercare una donna perfetta, cerca una vera donna".

Anonimo

"Non vorrei diventare socio di un’associazione che mi accetta come socio".

Anonimo

"Restituire Genova ai Genovesi".

E. Vernazza

"Fama veris addere falsa gaudet et e minimo sua per mendacia crescit – La fama gode nell’aggiungere cose false a quelle vere e cresce da un nonnulla per le sue stesse menzogne".

Ovidio

"Noi siamo noi y loro sono loro".

Vujadin Boskov

"Sogni. Sono solo sogni, quelli che ci legano alla realtà".

E. Vernazza

"Segui sempre un vento che ti porta sempre dove tu non sai. Oh se tu sapessi dove, scopriresti l’attimo della tua eternità".

E. Vernazza

"Eravamo insieme, tutto il resto del tempo l’ho scordato".

Walt Whitman

"I have no plans, no date, no appointments with anybody".

J.F. Kennedy

"Io ho paura solamente delle cose che non capisco".

Fabrizio De Andrè

"Quando si muore si muore soli".

Fabrizio De Andrè

"Tirai una freccia in cielo per farlo sanguinare. C’è un dollaro d’argento sul fondo del Sand Creek. A volte i pesci dormono sul fondo del Sand Creek".

 

"Le donne di Genova portano gonne strette e non ridono per niente. E pensano sia normale mettersi a letto e leggere il giornale".

Francesco Baccini

"Non si desidera ciò che è facile ottenere".

Ovidio

"I believe in a place called hope – Io credo in un posto chiamato speranza".

Bill Clinton

"La giustizia è come un timone. Dove lo giri và".

Franco Freda

"Non conservare niente per un’occasione speciale, ogni giorno che vivi è un’occasione speciale".

Anonimo tibetano

"Dai alla gente più di quanto si aspetta e fallo con piacere".

Anonimo tibetano

"Sorridi quando rispondi al telefono. Chi ti chiama lo potrà sentire nella tua voce".

Anonimo tibetano

"Se qualcuno ti fa una domanda a cui non vuoi rispondere, sorridi e chiedigli: perché lo vuoi sapere".

Anonimo tibetano

"Sposati con una donna alla quale piaccia conversare. Quando sarete anziani la vostra abilità nel conversare sarà più importante di qualsiasi altra cosa".

Anonimo tibetano

"Alles hat ein ende, nur die wurst hat zwei – Tutto ha un fine, solo il salame ne ha due".

Anonimo tedesco

"La politica dei cittadini. Un paese e una società progrediscono se sono in grado di fondere interessi collettivi individuali in modo tale da far crescere entrambi".

Cipolletta

"L’amore è eterno finchè dura".

Henry De Regnier

 

 

 

DAL TROPICO DEL CAPRICORNO A CAPO HORN

La parola Cile, nella lingua degli indios Aymara, antico popolo andino, significa "là dove finisce la terra". Sembra uno slogan pubblicitario per depliant turistici, ideale per attrarre amanti delle destinazioni limite. Eppure forse mai come in questo caso vale la frase, spesso abusata, del mondo ai confini del mondo.

Il Cile è infatti una striscia di terra sottile, stretta tra il Pacifico e le Ande, larga in media 180 Km e lunga ben 4300. Una "follia" geografica, con la testa ai tropici e i piedi al Polo Sud e, di conseguenza, un campionario unico di ambienti e suggestioni naturali: deserti di sale e fiordi ghiacciati, steppe ventose e vulcani innevati, mari tempestosi e isole perdute. Spazi remoti, dove lo stereotipo del limite si fa realtà e lo spaesamento tanto caro ai viaggiatori di frontiera diventa possibile.

Il Cile, nel linguaggio della politica internazionale, evocava fino a qualche tempo fa il golpe contro Allende e i diciassette anni di dittatura militare. La democrazia è tornata nel 1990 ed oggi il Cile, a distanza di tredici anni, è considerato il paese più ricco e stabile dell’America Latina , con tassi di crescita record (7,2 per cento l’anno) e una pace sociale invidiabile.

Santiago è lo specchio del momento felice che vive il Cile, con interi quartieri nuovi che avanzano nella vallata. La capitale non è bella, ma è il cuore, un po’ nordamericano, un po’ andino del paese. E’ per questo motivo che dovete fare visita a Santiago. Per avere un’idea di come vive un terzo dei quindici milioni di cileni meticci bianchi e indios che la popolano, sotto la cordigliera che incombe sui grattacieli di Las Condes e i viali molto frequentati la notte di Suecia.

Non si può rinunciare ad una visita al mercato central tra banchi di pesce e frutta e i chiassosi ristorantini alla buona.

In volo verso il nord del paese il panorama si fa sempre più arido e il deserto di Atacama (in certe zone non piove dai tempi della colonizzazione spagnola, quattro secoli fa) occupa la gran parte. Le sue dimensioni gigantesche racchiudono ricchezze sotterranee che costituiscono le fondamenta dell’economia cilena (il rame incide per il 40% sulle esportazioni del paese).

Fermarsi nella piccola oasi di San Pedro de Atacama è quasi un obbligo; il fascino che emana questo paesino fa dimenticare lo scorrere del tempo. Nei dintorni lo spettacolo continua, si attraversa la pianura di cristalli del Salar de Atacama per osservare gli splendidi flamingo e, a mezz’ora di distanza c’è la valle della luna, un luogo incantato dove la sabbia è così fine da lasciarsi scivolare dalla sommità delle dune a piedi nudi; andateci al tramonto e aspettate che la luna arrivi in cielo a illuminare i monti e i canyon. Partite di notte, invece, per raggiungere dopo quattro ore di fuoristrada i geyser a 4500 metri di altitudine di El Tatio, getti d’acqua calda a 85° di dieci metri di altezza, visibili solo all’alba. A queste quote attenzione al mal di montagna, il puna, da prevenire camminando lentamente e bevendo una tisana con foglie di coca, un antico rimedio locale.

Scendendo verso sud si attraversa la regione semiarida del Norte Chico e poi la fertile valle centrale, il cuore agricolo e industriale del Cile. E si giunge alla regione dei laghi, incorniciata da coni vulcanici innevati, molti dei quali ancora attivi, e punteggiata da chalet in stile bavarese che fanno pensare di essere in Germania. E invece siamo nella terra dei Mapuche, gli ultimi indios a cedere agli Spagnoli, soltanto cento anni fa, dopo una fiera lotta secolare. Qui il paesaggio comincia a essere disegnato più dall’acqua che dalla terra e si frantuma in una cascata di isole, fiordi, canali e ghiacciai. Giù, giù, fino all’estrema punta meridionale del Cile e dell’America, Capo Horn, alla confluenza burrascosa dei due oceani di fronte all’Antartide.

Puerto Montt, capoluogo della regione, è la base per raggiungere diverse destinazioni. Oltre ai laghi, le lagune e le isole come la magica Chiloè. L'isola delle case di legno colorate con i tetti in lamiera ondulata, delle palafitte a schiera in riva al mare a cui ancorare le barche durante l’alta marea.

Il viaggio prosegue verso l’estremo sud australe, raggiungibile oltre che in poche ore di aereo, anche con una lunga crociera tra i fiordi e la fantastica lingua di ghiaccio della laguna San Rafael.

Una volta arrivati in questa zona rilassatevi.

La Patagonia e la Terra del Fuoco appartengono alla categoria dei paesaggi dell’anima, spazi che "permettono di guardarsi dentro e capirsi meglio" suggerisce Sepulveda.

Montagne granitiche e ghiacciai secolari; un sistema intricatissimo di isole, canali e coste; distese pianeggianti e foreste millenarie intervallate da fiumi cristallini e lagune colorate, regno di gauchos, pecore e guanachi, parenti meno nobili del lama.

Infine, prima di lasciare il limite del mondo, ricordatevi di guardare il cielo. Di notte lo spettacolo delle stelle dell’ emisfero australe aumenterà la consapevolezza e il gusto di stare dall’altra parte – alla fine del mondo.

Enrico VERNAZZA

 

 

QUANDO SI DICE CORSICA…

 

A quest’isola mancano due cose: il brutto della vita e la pianura.

La Corsica, che i greci chiamavano Kallisto, la Bellissima, è uno scrigno di bellezze naturali che si offrono al viaggiatore in tal quantità da farla apparire come una terra felice ove improvvisamente svaniscono problemi e preoccupazioni…

Allo sbarco Bastia ci saluta con un cielo nero che non promette nulla di buono, affrontiamo immediatamente una dura e tortuosa salita verso il Col de Teghime alla cui sommità veniamo inghiottiti da una fitta nebbia. E’ così che ci accoglie l’isola ed è da qui che si comincia a capire il senso della Corsica.

Imponenti montagne che precipitano nel mare azzurro ed un caldo secco che la brezza marina non riesce ad alleviare. Gli spettacolari vigneti di Patrimonio appaiono come uno sberleffo una volta entrati nel torrido deserto degli Agriati. Il deserto è un labirinto di vallette colonizzate soltanto dal vento e dal sole. Il mare è lontano ed anche il silenzio, talvolta pressoché assoluto, si offre solo a tratti mimetizzato in un ribollire di sibilanti refoli d’aria che fuggono verso la costa.

Si supera la Bocca di Vezzu e si precipita sul Mare. Ile Rousse e poi Calvi la “Semper fidelis” alla “Superba” come recita l’iscrizione all’ingresso dei suoi bastioni imponenti. E poi….localini e spiagge e le immancabili torri Genovesi edificate in tutta l’isola a difesa delle baie. Il segno di 500 anni di dominazione Genovese è palpabile in tutta la Corsica.

Doppiata Calvi si procede verso Sud, la strada serpeggia tra fiordi incantati dipinti dalle infinite tonalità di azzurro del mare. Si segue integralmente il ribelle disegno della costa ubriacandosi di curve e saliscendi. Arrivati alla baia di Nicchiareto si abbandona per qualche chilometro la costa. L’interno è brullo e un po’ ci ricorda le ambientazioni di tanti spaghetti western.

Di nuovo la strada torna sul mare, il golfo di Galeria si chiude sulla selvaggia valle del Fango. Una piccola strada risale la valle offrendo sorprendenti scorci di un mondo antico fatto di pareti verticali dominato dalla mole del Paglia Orba.

Galeria è un piccolo nucleo di case assopite a mezza costa sopra il lembo meridionale della baia ed è anche un porto strategico per una visita al parco marino di Scandola.

Intanto la strada ha ripreso a salire dirigendosi ancora nell’entroterra. Tra un canalone e l’altro raggiungiamo il Colle della Palmarella dalla cui sommità si apre una spettacolare vista sul golfo della Girolata. Svalichiamo il Col de la Croix e planiamo dolcemente su Porto. La marina è strappata alla stretta gola terminale del fiume omonimo. Il bel porto, dominato dalla solita torre Genovese, brulica di localini e turisti. Salendo verso Piana il panorama delle calanche al tramonto si fa mozzafiato. Un rosso intenso incendia la miriade di guglie e pinnacoli che si stagliano tra la strada ed il mare che giace lontano attraversato da un riflesso arancione che sfuma all’orizzonte. Scendiamo quindi verso Cargese dove ci troviamo catapultati in un altro mondo. Siamo sulla spiaggia del Club Med che ci accoglie con le sue musiche allegre, le divertenti attività sportive ed i giochi un po’ pazzi…potremmo essere in qualunque posto del mediterraneo ma a noi adesso interessa la Corsica. E quindi superato il Col di San Bastiano scendiamo tra il traffico della capitale Ajaccio, visitiamo la parte storica della città e facciamo sosta davanti alle bellissime isole Sanguinarie. Lasciata la patria di Napoleone proseguiamo la nostra discesa verso Sud. La sosta alla spiaggia di Olmeto è obbligatoria e qualcuno azzarda anche il primo bagno stagionale. Costeggiamo il golfo di Valico e giungiamo a Propriano, cittadella nervosa che domina dall’alto l’ampio porto turistico. Lasciamo nuovamente il mare per salire a Sartene che alcuni considerano il cuore della Corsica più vera. Da lì alla splendida Bonifacio il passo è breve, il paese di pietra edificato sulla scogliera ci accoglie con la sua bellezza disarmante. Il vento sferza le tumultuose acque delle Bocche con le onde che si scagliano contro le muraglie bianche e sullo sfondo la Sardegna. I quaranta chilometri che ci conducono a Porto Vecchio sono intervallati dalle più belle spiagge dell’isola. Non ci sono mangrovie o palme ma le pinete che insieme ai cespugli di mirto, lentisco e tamerici provocano una visione ancora migliore delle isole caraibiche. Se vi piace il viaggio ozioso non avete altro da fare che tirare il lettino nell’acqua bassa della Rondinara, sdraiarvi, aprire un libro o chiudere gli occhi e farvi servire un moscato dell’isola freddo…il Paradiso deve essere circa così…

Dopo una serie di tuffi nell’acqua cristallina della baia di Santa Giulia e alla Palombaggia e superata la chiassosa Porto Vecchio dirigiamo a Nord. Ad Aleria ci buttiamo nell’interno e seguendo il maestoso massiccio del Cinto arriviamo all’antica capitale Corte. La città arrampicata sulla rocca rappresenta l’emblema dello spirito indipendentista corso. Ascoltiamo alcuni locali parlare corso, una lingua così particolare con assonanze sarde, genovesi, toscane e sicuramente molto distante dal francese.

In trequarti d’ora arriviamo a Bastia. Il tour de Corse è finito, a mezzogiorno la nave salpa e ci regala, navigando parallela al “dito”, un lungo arrivederci da parte di quest’isola ancora selvaggia ed intrigante.

                                                               ENRICO VERNAZZA

 

 

 

 

SCOTLAND FOR GOLF

Cronaca di una settimana tra gli sterminati green scozzesi

Scotland for golf non è soltanto il titolo dell’articolo, è soprattutto la creatura di un bravo e paziente maestro di golf scozzese che risponde al nome di George Finlayson.

Tutto è cominciato una caldissima serata di fine luglio davanti ad un aperitivo in riva al mare, il caldo era opprimente come lo è stato per tutta l’estate. Avevamo voglia di fresco e soprattutto di conoscere il mondo del golf. E quindi, cosa meglio della Scozia e di un corso di golf nella patria di questo sport.

Occorreva quindi reperire velocemente informazioni per organizzare il tour. Interpellati gli amici golfisti e le agenzie di viaggio che operano nel settore, nessuno è stato in grado di aiutarci. Tutti avevano sentito di corsi di golf in località balneari sparse per il mediterraneo ma nessuno sapeva nulla relativamente alla Scozia.

Nonostante le avversità non ci siamo persi d’animo e soprattutto grazie alle informazioni raccolte su internet siamo giunti in contatto con l’organizzazione di George.

Il sogno stava per realizzarsi….stavamo per andare a fare una "clinic" di golf a St. Andrews ovverosia nella località dove nel 1400 questo sport è stato inventato.

E’ impossibile non farsi coinvolgere dal golf in questo magico paese medievale circondato dai più bei green del mondo.

A St. Andrews la diciottesima buca, il capolavoro di Tom Morris, del più antico campo del mondo, "l’Old Course", finisce direttamente in paese.

Scotland for golf cura ogni minimo particolare, dalla sistemazione che va dall’hotel cinque stelle al Bed and Breakfast, al corso personalizzato da due a più giorni, al noleggio di tutta l’attrezzatura. La giornata comincia presto alle 7,30 e dopo un’abbondante colazione ci viene a prendere lo shuttle bus del golf che ci porterà alla Club House. L’autista è un simpatico pensionato inglese appassionato di musica lirica che, per farci sentire a casa nostra, ci fa sentire le opere di Pavarotti mentre attraversiamo i verdi green che si susseguono a perdita d’occhio.

Alla Club House ci aspetta il nostro tutor. George è una persona squisita, ci accoglie mettendoci subito a nostro agio senza farci minimamente pesare il fatto che ci parla in un’altra lingua.

Il suo inglese è molto chiaro e semplice ed ha sempre pronta la battuta per sdrammatizzare il nostro ennesimo colpo sbagliato.

Qui è tutto incredibile a cominciare dal servizio offerto in campo pratica. I driving sono rasati e preparati come dei green e ognuno di noi ha a disposizione un’infinità di palline. Siamo solo nel campo pratica ma siamo circondati a 360° dai sei campi di St. Andrews, Old Course, New Course, Jubilee, Eden, Strathtyrum, Balgove e l’emozione è la stessa, come se fossimo lì a giocare insieme ai professionisti.

Ho sempre privilegiato gli sport d’azione dove oltre al contatto diretto con gli avversari è la forza fisica a farla da padrone e purtroppo questo si vede facilmente nel momento dello swing, quando agendo con troppa energia, appaio completamente scoordinato. Ma George è lì paziente a farmi capire che non occorre tutta quella forza per colpire la pallina ed anzi mi invita, per imparare il movimento corretto, ad osservare il suo swing che sembra la cosa più facile e naturale del mondo.

Alla lezione pratica segue, sempre in campo, quella teorica con insegnamenti vari dal comportamento sul campo alle regole del golf.

Il cuore batte forte quando George ci porta sul campo. La preparazione dei driving è eccezionale, abbiamo provato una grande emozione a giocare a St. Andrews, un vero tempio, dove si trovano i campi più belli che esistano al mondo. Il campo tecnicamente è ottimo e panoramicamente è spettacolare, in fondo al verde infinito si staglia il borgo medievale, la Royal Ancient Golf Club che stabilisce le regole del golf in tutto il mondo e sulla sinistra l’azzurro del mare; che pace, che tranquillità!

Il trattamento riservato a noi "beginners" è inimmaginabile per un principiante che gioca in Italia. George ci fa provare e riprovare ogni situazione. Che soddisfazione superare il muro insormontabile del "bunker" sollevando una nuvola di sabbia dopo aver zappato in lungo e in largo tra le risate di tutti.

Sono molto orgoglioso quando sento lo schiocco della pallina dopo aver completato uno swing perfetto, che soddisfazione girarsi sulla sinistra e seguire la lunga traiettoria.

Sentiamo già che fare questa "clinic" scozzese sia stata la miglior cosa che si potesse fare per la nostra futura carriera di golfisti.

Abbiamo lavorato anche a controllare la lunghezza dello swing attraverso il movimento rotatorio del corpo. Non ci possiamo lamentare dei risultati raggiunti sinora e siamo felici perché sappiamo che ritornando in Italia, giocando assiduamente e con fiducia sulle nostre possibilità, riusciremo a raggiungere l’agognato handicap.

Al termine di questa esperienza verdissima ci rendiamo conto che a differenza di tutti gli altri sport il golf ha il potere di liberare la nostra mente da tutto, l’unico pensiero è la sfida contro se stessi. Ci troviamo a scoprire che alcune sensazioni provate possono essere traslate nella vita di tutti i giorni come quando dopo una serie di swing sbagliati ci si rende conto che invece di intestardirsi è meglio praticare lo swing senza la pallina e non pensare più a nulla, come per incanto al primo colpo con la pallina lo swing riuscirà perfetto. E quindi ci si domanda perché adesso non possiamo più fare a meno del green.

E allora penso perché il green vuol dire concentrazione e cura anti stress. Perché sul green termina tutto o in parte il nostro gioco. Perché si può sempre cominciare da capo. Perché dopo aver tirato centinaia di palline, capita anche di imbucare da fuori. Perché il green è un punto d’arrivo, la sintesi, l’area di rigore, il putt da 10 o più metri, o quello sbagliato non si sa come. Perché il green è il risultato, la gioia, la delusione. Perché il green appare quasi sempre come un miraggio ed è la visione più bella di un campo da golf. Perché il green può anche riassumere la filosofia di una vita; la speranza, la quintessenza d’una ricerca che non ha mai fine; il desiderio di giocare "contro", ma anche il piacere di passare "insieme" una giornata d’incanto, su un infinito prato verde con un raggio di sole che si intrufola e si frantuma tra i rami di un albero, mentre sul blu dell’orizzonte danzano cirri di nubi. Perché, prima o dopo, incontrerò su un green i miei amici, e sarò felice di giocare con loro, e di meditare, perché no, sui nostri errori, con la speranza che un nuovo driver ci faccia diventare più bravi. Perché il green è un luogo della mente, lo spazio di un’emozione.

ENRICO VERNAZZA

 

 

 

I COLORI DEL MAROCCO

 

Ci sono luoghi che si distinguono dagli altri in base al modo in cui ci si appresta a visitarli. Il Marocco è uno di questi. Terra di per sé affascinante, ricca di seduzione e magia, può diventare qualcosa di assolutamente speciale se, lasciando momentaneamente da parte agi e comodità, si decide di diventare, a scelta, predoni del deserto, incantatori di serpenti o avventurieri su 4 ruote. Senza fretta, con un po’ di coraggio e molta energia. Perché questo non è il solito viaggio in Marocco.

L’avventura può cominciare o finire a Marrakech. Che sia un punto di partenza o di arrivo, “la città rossa” va vissuta. Sì vissuta non vista, perché da vedere, artisticamente parlando, non c’è un gran chè.

Certo è che l’antica capitale imperiale della dinastia degli Almoravidi non ha bisogno di architetture monumentali per attirare su di se milioni di occidentali, per lo più beautiful people tra stilisti, artisti e star internazionali, che si sono letteralmente stanziati nei più bei riad marrakchi. Quale sia esattamente il fascino conturbante di questa città non ha modo di esprimersi a parole.

Dire che il centro geografico di Marrakech custodisce la Medina più affascinante dell’intero Marocco non ha abbastanza vigore. Cambierà radicalmente il senso di questa definizione, trascorrere anche pochi minuti (che diventeranno fatalmente ore) dentro quel catino della provocazione e della pantomima noto al mondo col nome di Jemaa el-Fna. Giocolieri, saltimbanchi, narratori e filosofi, acrobati, artisti itineranti dispensatori di sogni, profezie e anatemi, negromanti e cerimonieri, irradiano energia da tutti gli angoli della piazza e, soprattutto, si fanno vedere. Chi vende henné, chi la felicità sotto forma di un curioso talismano, mentre i serpenti danzano sinuosi al suono di un incantatore, qualcun altro raggiunge la trance  e la promette al miglior acquirente. In una orgiastica esibizione collettiva, l’anima del Marocco si scompone e ricompone tra questi banchi asimmetrici, nel chiacchiericcio incomprensibile di una lingua sconosciuta, nel suolo di un palcoscenico color ocra dove si esibiscono creativi ed artisti in cerca di pubblico. Si può scegliere di essere spettatori o protagonisti ed ecco che, di nuovo, la prospettiva del viaggio muterà profondamente. Non stupisce che l’Unesco nel maggio 2001 abbia coniato l’inedito concetto di “patrimonio immateriale” per poter inserire l’anima della Medina tra i capolavori mondiali. Un’anima che vive di pura oralità, e che di questo ridondante tam tam tribale ha fatto la sua forza, la sua tradizione, la sua fede.

Lasciando Marrakech, l’avventura prosegue verso l’Alto Atlante. La nostra auto si arrampica sui tornanti stretti e sinuosi, da un lato la cima elevata di un monte, dall’altro lo sguardo spazia su un paesaggio che ricorda i grandi canyon dell’Arizona, mentre davanti a noi c’è un fitto bosco di larici. Stiamo salendo verso quota 2260 metri, fra pochi minuti saremo sul passo di Tin-n-Tichka.

Dopo aver scollinato sull’Atlante, si apre un paesaggio a dir poco affascinante: è qui che comincia il Marocco più vero e caratteristico. Ed ecco che d’improvviso ai lati della strada scorrono come in un film le prime kasbah, vecchi ma sempre splendidi palazzi fortificati che, costruiti con un impasto di argilla, fango e paglia, si confondono e ben si mimetizzano col rosso circostante delle rocce sulle quali si abbarbicano, dominando la valle, al riparo una volta dagli attacchi dei predoni del deserto. E Ait Benhaddou ne è splendido esempio, una kasbah dove si riesce ancora a respirare quell’atmosfera così ben descritta nel “Tè nel deserto”, girato proprio qui fra gli stretti vicoli che s’incrociano l’un l’altro inseguendo l’ombra. E qui ai margini del deserto l’ombra è un bene prezioso, come del resto l’acqua, elemento fondamentale e indispensabili per la vita di questi luoghi. Sì l’acqua. Ovunque vi sia la possibilità di sfruttarne le falde acquifere del sottosuolo, lì sorge un’oasi, una grande macchia verde brillante che d’improvviso appare ai nostri occhi entusiasti e che contrasta con la terra rossa del deserto.

Ouarzazate ci accoglie al tramonto, giusto il tempo di visitare la splendida kasbah e di essere invitati ad entrare nella casa di un mercante berbero. Di fronte all’immancabile tè alla menta ci immergiamo in una realtà fiabesca fatta di racconti di altri tempi attraverso le tribù nomadi del Sahara.

Lo stupore di sapere che il berbero che ci troviamo davanti ha 4 mogli e 25 figli, si trasforma in curiosità. E allora, vista la disponibilità dell’interlocutore, partono le domande più svariate e imbarazzanti sugli usi e costumi della sua gente. Alla vista dei meravigliosi tappeti stesi davanti a noi è inevitabile la richiesta del prezzo. Si è fatto tardi, ci congediamo dicendo che ripasseremo il mattino dopo per vedere altre mercanzie ma immediatamente ci stoppa dicendo “Inshallah” ovverosia “se Dio vorrà”. Già “Inshallah” ci dovremo abituare a questa parola, che da queste parti corrisponde ad un atto di fede più che ad una rassegnazione. Ed è un po’ la filosofia di vita di un paese, il Marocco, sempre in bilico tra due mondi, l’occidente ricco e industrializzato a cui anela far parte e un’anima berbera e nomade, irriducibile e pervasa dall’orgoglio della propria identità e delle proprie tradizioni.

Viaggiando verso Tinehir le oasi si susseguono verdissime. I campi di menta emanano un odore fortissimo che entra nel naso per darci una sensazione immediata di freschezza. Un profumo che sulla strada si confonde con quello delicato delle rose, che in questa valle alimentano un florido commercio.

E come non restare incantati di fronte alle Gole del Todra, un’impressionante voragine tra due pareti altissime di granito fra le quali scorre un fiume fresco e rigenerante.

Proseguendo, lo sguardo è rapito dai colori che si stagliano lungo la cosiddetta “strada delle mille kasbah”, che una dietro l’altra sfilano davanti ai nostri avidi obiettivi. Il sole calante colora di un rosso argilloso il tramonto davanti ad un pozzo di un piccolo villaggio berbero, mentre il pensiero è già rivolto a domani, quando proveremo veramente cosa significhi l’emozione di quella parola che incute timore e fascino nello stesso tempo: il deserto del Sahara.

E’ ancora pieno giorno e fa molto caldo quando il fuoristrada sfreccia sulla pista che da Erfoud ci porta a Merzouga, alle porte del grande Erg. L’emozione prende il sopravvento quando da lontano si intravedono  le dune di sabbia. Tra le dune altissime dal colore ambrato, il silenzio del deserto ci avvolge completamente mentre cavalchiamo i nostri cammelli. Siamo circondati da dune sinuose e altissime, ondulate come onde di un mare d’oro rosso o arancio a seconda della luce di un sole che a poco a poco comincia a calare all’orizzonte. La prima cosa che viene in mente di fare è quella di togliersi le scarpe e sprofondare nella sabbia sottile fino alle caviglie, poi rotolarsi per provare una sensazione solo immaginata sui prati erbosi di quando si era bambini. E la fatica di salire su una duna altissima è compensata dallo spettacolo sbalorditivo che si presenta dalla cima, da dove lo sguardo è finalmente libero di spaziare verso l’infinito delle dune del deserto. Non resta che guardare incantati e sognare, mentre un leggero soffio di vento ci accarezza il viso…E’ questo il Sahara è questa la sua magia!

E’ difficile riprendere il viaggio dopo certe emozioni, ma l’avventura continua. Risaliamo l’Atlante puntando il nord del Paese per raggiungere l’antica capitale imperiale Fes famosa per le concerie. Proseguiamo poi per la vicina Meknes dove ammiriamo l’imponente porta Bab el Mansour. Viviamo invece un indimenticabile tramonto a Volubilis, antica città romana esempio di cultura e potenza dei nostri antenati. Il tour termina davanti all’Oceano, visitiamo l’immensa moschea Hassan II di Casablanca, esempio di architettura moderna, seconda in grandezza soltanto a quella della Mecca.

E poi all’aeroporto il pensiero va inevitabilmente a tutto quello che abbiamo visto e vissuto.

Così è il Marocco, una terra di passione e di contrasti, dove la parola è facile come la risata e il contatto. Il tempo non scorre in Marocco, ma evapora, e dobbiamo catturarlo per viverlo. Il Marocco non è una pura e semplice magia ma uno stato dell’anima.

 

                                                               Enrico VERNAZZA

 

                                                         

 

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